Mamma: Da quando ho perso mia madre il Natale non è più lo stesso

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Mamma Spesso chi vive un lutto si chiede se sia “normale” stare male a lungo. A volte la morte di una persona cara è devastante, e ritrovare l’amore per la vita pare un’impresa impossibile.

Forse però dobbiamo smettere di pensare con ansia a quanto tempo è passato, per riflettere sulle modalità del nostro lutto. Uno psicologo americano, George Bonanno, esemplifica la difficoltà a superare il lutto attraverso la storia di Rachel e Franck.

Perdere la mamma è un dolore profondo

Coppia sposata da 40 anni e senza figli, molto amici, che passavano la maggior parte del tempo libero insieme. Franck muore improvvisamente al lavoro, di un attacco cardiaco.

Per settimane Rachel non riesce a mangiare nulla, piange per ore, non dorme, dimagrisce, diventa pallida e con gli occhi cerchiati, non torna al lavoro per molti mesi dopo la morte del marito. Rientrata in ufficio, resta incapace di concentrarsi, e il suo capo le consiglia di prendersi ancora un po’ di tempo: lei resta a casa a piangere, spesso a letto, e un anno dopo nulla è cambiato.

Occorre intanto sapere che un’esperienza come quella di Rachel capita a circa il 15% di chi è in lutto, nella nostra cultura: un gran numero di persone, se si considera che tutti noi dobbiamo confrontarci con il lutto.
Essere tristi è non solo normale, ma anche positivo dopo una perdita grave: coloro a cui siamo cari sentono maggiormente il bisogno di starci vicino.

L’eccessiva e troppo prolungata tristezza, però, diventa perniciosa e disfunzionale, ed è bene che sia un campanello d’allarme per chi la prova.

Sembra che molte persone con un lutto prolungato perdano, nei primi tempi dopo la perdita, il senso della propria identità. Chi sono io, se non sono più la moglie di Franck? si chiedeva Rachel. Molti pensano che tutto sia perduto, che nulla abbia più senso per loro, indipendentemente dagli interessi coltivati prima.

Che cosa fa sì che gli individui vivano un tale senso di vuoto e dolore?

Qualche risposta comincia a emergere: ad esempio, le persone con lutto prolungato generalmente sono dominate dallo struggimento per l’essere amato, non vogliono altro se non riaverlo. E’ una reazione alla perdita diversa dalla depressione, che generalmente non ha oggetto. Sono persone inconfortabili: chi è morto non può tornare. Inoltre, non desiderano la vicinanza di nessuno. Il loro pensiero torna sempre e solo al congiunto scomparso, e il dolore si approfondisce. Una delle cause del lutto prolungato è, dice Bonanno, la dipendenza, soprattutto emotiva: l’idea di non poter fare a meno dell’altro e la paura della separazione.

Anche i ricordi non sono consolanti ma minacciosi e volti ad accrescere la sofferenza. Ci si volta spesso indietro, con senso di colpa, e si rimpiange di non essersi comportati in modo diverso in alcune situazioni . L’enorme solitudine di chi si trova prigioniero di un lutto senza uscita è difficile da comprendere e tollerare dagli altri, famiglia o amici, che vorrebbero aiutare il dolente a recuperare una vita piena, ma che sono sovente respinti e frustrati.

Spesso così essi cominciano ad allontanarsi, inasprendo il senso di solitudine.
Se intravvedete nel vostro lutto (o in quello di vostri amici e conoscenti) questi tratti, e se sono passati più di sei mesi dalla morte, chiedete aiuto. Potrebbe esservi utile una terapia psicologica, ma non necessariamente. Domandate se esistono gruppi di auto mutuo aiuto nella zona in cui vivete, consultate il vostro medico di famiglia, se avete fiducia in lui. Aiutarvi è possibile!